E’ di domenica 19
febbraio, l’appuntamento mattutino dei “camminatori coi bastoncini”.
Il ritrovo è prefissato in prossimità del Canale della Muzza,
nell’estremo lembo più a nord di Paullo.
La frazione paullese di Conterico.
Conterico di sopra per l’esattezza, poiché nel passato, vi
era anche un Conterico di sotto, un’unica comunità da sempre divisa da quel
ramo dell’Adda divenuto poi Muzza.
Un antico agglomerato di case e cascinali con chiesetta dedicata
a S. Bartolomeo, ormai sconsacrata, ma che ancora agli inizi degli anni
Settanta svolgeva messa domenicale.
Il luogo di Conterico risale da un primario insediamento
celtico, poi trasformato in villa e agro romano, con annessa dogana e riscossione di
dazi per il transito di animali, merci e persone sulle due sponde.
Un possedimento feudale rilevante nei suoi trascorsi storici.
L’abitato, che un tempo faceva comune a sé per il gran numero di abitanti è ora
ridotto a poche presenze in relazione alle necessità e mutamenti del luogo.
Il nostro itinerario inizia proprio da questa antica
“piazzetta” che si affaccia sul canale, oggi anche parcheggio delle nostre auto.
Sono le nove circa, come previsto, il sole stenta però a
penetrare, e noi, scalpitanti camminatori, serrate le impugnature dei nostri
“attrezzi” ci mettiamo in marcia.
Siamo un bel gruppo e sgranati sul percorso ci contiamo in
23.
Si segue un ottimo fondo sterrato sull’alzaia sinistra
idrografica della Muzza.
La direzione è a nord verso Lavagna di Comazzo.
Da subito si apprezza la limpidezza delle acque che placidamente
scorrono su un ben visibile fondale ghiaioso. Sembra storia remota, ma in
questi tratti fluviali, ancora alcuni decenni fa, transitavano con le loro
capienti barche, i “cavatori di ghiaia”. Un mestiere scomparso, ma che per
secoli è servito all’importante approvvigionamento di ghiaie già dragate e pulite
per gli usi diversi.
In questo lungo tratto, la dimensione del canale, con le sue
larghe sponde e sinuosità, rappresenta un dettaglio di quando era ancora un fiume.
L’invernale frescura delle campagne circostanti e la numerosa
alberatura sulle rive ci ritornano un senso di pacatezza.
Ed ecco, che affacciato su opposta sponda, ci appare un
importante caseggiato agreste.
E’ la Palazzina Gardino, esempio significativo di villa
gentilizia di età sforzesca.
Peccato non poterla visitare.
Databile all’ultimo ventennio del Quattrocento, debitrice
del linguaggio bramantesco, coniuga elementi di discendenza fiorentina,
urbinate e lombarda. La medesima cultura architettonica che caratterizza il
vicino Oratorio di Rossate, meta del nostro percorso di giornata.
Trasformata in un preesistente cascinale fortificato a
residenza signorile. L’edificio è stato recentemente restaurato. Presenta una
ricca e raffinata decorazione in cotto che sottolinea un doppio ordine di
lesene. Numerosi i busti e teste in terracotta ad altorilievo, con formelle
sempre in terracotta a fondo azzurro. Un esempio di cultura antiquaria di pieno
gusto rinascimentale.
Se ne trova corrispondenza nella famosa serie di teste che
decora l’antica sacrestia di Donato Bramante in Santa Maria presso S. Satiro
(1483).
I Calco e i Marliani, nell’ordine, le famiglie proprietarie
del feudo di Rossate con Gardino durante il ducato di Filippo Maria Visconti.
Si tramanda testimonianza che in questo tratto fluviale, nei
periodi stagionali delle piogge, vi era confluenza e aspersione di grande
quantità di acqua fluviale, quasi a formarne un lago. Lo si nota ancora dalle
alte sponde circostanti, un po’ distanti rispetto l’attuale corso del canale.
Si parla anche di una bonifica d’inizio
Novecento avvenuta in questi luoghi.
Il nostro cammino prosegue, ma già si staglia all’orizzonte
il recentissimo viadotto autostradale, che qui, cavalcando la Muzza interrompe
un secolare paesaggio.
Sulla nostra destra, distinte da campi a dimora invernale,
appaiono due amene località rurali.
Un primo cascinale, denominato il Torchio, per la presenza
dell’importante mulino a ruota mosso da rogge che qui si intersicano.
Il mulino non più operante, è stato recentemente
ristrutturato e ricollocato come moderno e accogliente punto di sosta e
ristoro, pur mantenendone le precedenti sembianze.
Poco più in là la frazione di Vaiano.
Di romana discendenza, in risultanza di numerosi reperti
archeologici recuperati in seguito agli scavi sulla via centrale del paese avvenuti
negli anni Sessanta.
Antica pieve quella di Vaiano, con chiesa dedicata a S.
Zenone. Attualmente il borgo, per la
scarsa necessità di manodopera in
agricoltura, risulta ormai ridotto a pochissimi abitanti.
Ed eccoci giunti a Lavagna.
Di origine romana (Levania) è posizionata alla destra del
canale Muzza, si raggiunge attraversando un bel ponte in muratura.
Un tempo Lavagna, ora frazione di Comazzo, era dedita
all’agricoltura, lo testimoniano ancora rilevanti cascinali in un’unica via
centrale che raccoglie l’abitato.
La parrocchiale del XVI secolo è titolata a S. Bassiano
Vescovo e condivide con la Cattedrale di Lodi la dedica al santo patrono Bassiano.
Nella seconda metà del Quattrocento, un cittadino illustre,
Filippo da Levania, fu importante pioniere della stampa, conferendo vanto e
onore al paese di Lavagna.
Costeggiando la parrocchiale ci si inoltra nella campagna
circostante.
Una recentissima e ben attrezzata ciclopedonale in terra
battuta ci conduce in poco più di un chilometro alla minuscola località di
Rossate.
Da un lungo trascorso di oblio e decadenza, si ascrive oggi
la località di Rossate tra i centri di rilevante interesse ai fini della storia
del Rinascimento in terra Milanese.
Il sito di Rossate si compone storicamente intorno a Cascina
Castello, un’ampia struttura di impianto quadrilatero a corte chiusa,
attualmente in abbandono e ridotta a rudere. Sorta assai probabilmente sul
sedime di una più antica costruzione a carattere difensivo.
Desta ancora meraviglia nel viandante occasionale imbattersi
nella piccola chiesa di S. Biagio.
La chiesa oratorio di S. Biagio, un’architettura pregevole,
ispirata alle forme del linguaggio bramantesco. Singolare nella sua ubicazione,
in un contesto di nucleo rurale quasi sperduto in queste campagne dell’alto
lodigiano.
Il nucleo di Rossate viene citato nei documenti a partire
dall’885. Nel 1180 viene documentato per la prima volta l’esistenza di un
castello a Rossate; la presenza di una fortezza verrà segnalata all’inizio del
400.
Nel 1108 compare la prima citazione nei documenti, di una
chiesa dedicata a S. Biagio in località Rossate. Alla fine del 400 e alla prima
metà del 500 viene eretto l’attuale oratorio dedicato a S. Biagio, vescovo di
Sebastopoli e martire, plausibile, sul luogo della precedente chiesetta
documentata nel 1108.
Gli atti delle visite pastorali effettuate a Rossate alla
fine del 500 documentano già lo stato di abbandono dell’oratorio, in cui
risulta non ancora terminato. Alla data del 1584 infatti l’edificio non era
ancora dotato di campanile e le pareti non ancora dipinte.
L’oratorio, presenta una parte inferiore a parallelepipedo
con tre absidi e una superiore ottagonale, con un ordine di finestre tonde ed
un altro di finestre rettangolari cieche. Lo completa una bassa torre che fa da
campanile.
Tutto il complesso è in cotto e conserva un aspetto di
eleganza e di proporzioni classico rinascimentali. L’interno nei colori e
affreschi è quasi andato totalmente perduto.
Nella storia di Rossate da secoli vi è venerazione
dell’antico Crocifisso.
Un indizio che avvalora tale devozione è la scoperta di una
data incisa in una formella in legno al centro della mensa dell’antico altare
barocco risalente al 1693.
Come sia giunto il Crocifisso, importante nelle dimensioni,
policromo nella bellezza, scolpito dalle mani di abile artista su un pregiato
legno non è documentato.
La leggenda popolare tramandata dice sia giunto e tratto
dalle acque della Muzza, forse in seguito a qualche incendio o distruzione e
per questo, nel tentativo di salvarlo gettarlo in acqua.
E di acqua o di pioggia si implora nelle processioni
penitenziali rivolte dagli agricoltori del vicariato, in richiesta di grazia all’antico
Crocifisso.
Di certo un miracolo moderno, si è realizzato ai giorni
nostri.
Si tratta del complesso, indispensabile recupero,
strutturale conservativo, durato circa due anni, che ha permesso e riportato a
nuova dignità la bramantesca chiesa oratorio di Rossate.
Una promessa dovuta dalle imponenti infrastrutture
autostradali che attraversano questo territorio.
Il nostro ritorno ripete in parte il tragitto di andata.
Si è mantenuto una buona media, percorrendo in totale
quattordici chilometri nelle tre ore circa previste.
Si completa così un’interessante uscita itinerante, che ci
ha permesso di scoprire una parte importante di territorio dell’Alto Lodigiano.
Antonio Ferrarese